27/11/2023

I PILASTRI DELLO YOGA: Abhyāsa e Vairāgya

Cercare di spiegare lo yoga in modo semplice non è esattamente cosa facile, però è importante capire che la pratica non è solo esercizio fisico, ma un percorso interiore che necessita di una propensione particolare e che, per quanto l’insegnante ci chieda di rilassarci durante la lezione, c’è uno sforzo che lo studente deve fare.

Ciò significa che la pratica dello yoga, anche semplicemente la pratica delle posture, non dovrebbe mai essere passiva.

Nella cultura indiana, la figura del Maestro è centrale nella formazione dell’allievo, il Maestro è più importante dei genitori, diventa lui stesso genitore, padre e madre al contempo, è colui che guida l’allievo ad una nuova nascita, la rinascita spirituale!

“O caro, se si portasse via [dal paese dei] Gandhāra un uomo con gli occhi
bendati e poi lo si abbandonasse in un luogo deserto, costui […] errerebbe
verso oriente o verso settentrione o verso occidente o verso meridione.
Se,
sciogliendogli la benda, un uomo gli dicesse: “In questa direzione è il
[paese dei] Gandhāra, prosegui per questa direzione!”. Allora quello,
domandando di villaggio in villaggio, se è istruito e intelligente, potrà
arrivare al [paese dei] Gandhāra. Del pari l’uomo, quando abbia un maestro,
sa che tanto avrà di questo [errare] finché non sarà liberato,
ma
poi arriverà”.
__Chāndogya Upaniṣad VI, 15, 1-2.

Guru è il Maestro spirituale

Guru è il Maestro spirituale, questa parola si può tradurre in diversi modi: significa pesante, nel senso di eminente, autorevole, ma significa anche “colui che dissipa l’oscurità”, colui che ci guida dall’oscurità alla luce della conoscenza, che ci salva dall’ignoranza, da quella incapacità di vedere come stanno davvero le cose, colui che ci insegna a distinguere!

Nello Yoga Sūtra di  Patañjali, testo fondamentale dello Yoga Darśana (dottrina), ci viene insegnato che per poter praticare in modo efficace dobbiamo applicare due principi fondamentali: Abhyāsa e Vairāgya.

Questi due termini si possono tradurre così: la pratica costante, reiterata, dello sguardo discriminativo (vivekadarśanābhyāsena) e il distacco, lo “stingimento”, lo scoloramento.

Tra questi due è però FONDAMENTALE, la pratica costante.
Lo yoga è quella antropotecnica volta alla liberazione dell’essere umano dalla sofferenza, sofferenza causata dalla falsa identificazione del vero sé, Ātman, con ciò che è perituro, il mondo fenomenico.

Ora, tutte queste informazioni non esattamente di immediata comprensione, sono utili a capire la complessità della pratica e quanto questa sia radicata ai testi antichi e ad antiche tradizioni che poco appartengono alla visione occidentale.

Però sono informazioni che ci aiutano a comprendere due cose:

  • L’importanza della guida, dell’insegnante, o degli insegnanti, a cui ci affidiamo
  • La pratica è una faccenda personale, senza un coinvolgimento attivo e consapevole, diventa semplicemente una buona ginnastica posturale (non c’è nulla di male in questo, è già qualcosa di molto positivo)

Trovare un Guru nella moltitudine di insegnanti di yoga del mondo occidentale è, a mio parere, come cercare l’ago in un pagliaio, ma ci sono tantissimi bravi insegnanti che, con onestà intellettuale, trasmettono lo yoga con delicatezza e introducono questi concetti poco a poco, tra una postura e l’altra.

Nel mio percorso di allieva e insegnante, cerco sempre di dare strumenti utili per iniziare un percorso interiore di cambiamento che porti alla consapevolezza!
Siamo spesso confusi e coinvolti nella vita di ogni giorno in modo quasi meccanico, poco è lo spazio che riusciamo a regalare alla riflessione, alla ricerca della verità, alla ricerca di quella quiete interiore che, però, tanto desideriamo.

Lo yoga è un mezzo, lo stato di yoga (liberazione dalla sofferenza, liberazione dalla confusione mentale) è raggiungibile con la pratica, l’insegnante è colui/colei che indica la strada da percorrere.

Ne possiamo dedurre che l’insegnante non dovrebbe mai sostituirsi all’allievo.

In sintesi, la pratica dello yoga, degli āsana, del pranayama, della meditazione, deve essere costante e lo studente deve avere uno sguardo distaccato nei confronti di ciò che pratica, deve fare lo sforzo di mantenere la mente lucida in grado di discriminare, di percepire e sentire le emozioni come se fosse semplicemente un testimone che osserva senza giudicare.
L’insegnante è un mezzo prezioso, ma il percorso è personale e necessita di un impegno costante in grado di superare lo spazio del tappetino per trasferirsi in ogni ambito della vita.

Per questo molto spesso lo yoga viene definito “uno stile di vita”.

Diventare responsabili della propria vita, dei pensieri che produce la nostra mente, delle azioni che compiamo ogni giorno, diventare padroni dei nostri sentimenti ed emozioni e non semplici spettatori di reazioni impulsive o compulsive, questo è il dono che possiamo ottenere grazie alla pratica costante e grazie alla guida di un insegnante preparato.

Namasté!